Responsabilità sanitaria

22 Settembre 2022

Responsabilità sanitaria

Innanzitutto, appare doveroso schematizzare le forme di responsabilità che possono essere individuate in un caso di malasanità, o presunta tale: responsabilità civile e penale in capo all’operatore sanitario, responsabilità civile e amministrativa per la struttura sanitaria.
La responsabilità civile assume peculiarità proprie a seconda che venga fatta valere nei confronti dell’operatore sanitario o della struttura.

Responsabilità civile della struttura

Inizialmente la responsabilità civile della struttura sanitaria veniva ricondotta nell’alveo della responsabilità contrattuale sul presupposto che si fosse concluso un contratto d’opera professionale tra il paziente e l’ente ospedaliero. Tale impostazione, però, nel tempo ha ceduto il passo al fronte di una netta presa di posizione della Suprema Corte di Cassazione, la quale con sentenza resa a Sezioni Unite, la N° 9556 del 1 Luglio 2002, ha individuato nell’accettazione del paziente presso la struttura sanitaria, la conclusione di un contratto a prestazioni atipiche, sganciato dalle tematiche del contratto di prestazione d’opera intellettuale, per il quale dovevano essere applicate la normali regole fissate dall’art.1218 c.c., in ordine all’inadempimento contrattuale.

In base ai dettami della giurisprudenza della Corte di Cassazione sul tema della responsabilità medica, il rapporto, che si instaura tra paziente e casa di cura o ente ospedaliero, trova la sua fonte nel contratto atipico c.d. di spedalità, concluso tra le parti “per facta concludentia”, ossia mediante la mera accettazione del malato presso la struttura. Si tratta di un atipico contratto a prestazioni corrispettive con effetti protettivi nei confronti del terzo, da cui, a fronte dell’obbligazione del pagamento del corrispettivo, che ben può essere adempiuta dal paziente, dall’assicuratore, dal servizio sanitario nazionale o da altro ente, insorgono a carico della casa di cura o dell’ente, accanto a quelli di tipo “lato sensu” alberghieri, obblighi di messa a disposizione del personale medico ausiliario, del personale paramedico e dell’apprestamento di tutte le attrezzature necessarie, anche in vista di eventuali complicazioni od emergenze.

Ne consegue che la responsabilità della casa di cura o dell’ente nei confronti del paziente ha natura contrattuale e può conseguire, ai sensi dell’art. 1218 c.c., all’inadempimento delle obbligazioni direttamente a suo carico, nonché, in virtù dell’art. 1228 c.c., all’inadempimento della prestazione medico-professionale svolta direttamente dal sanitario, quale suo ausiliario necessario pur in assenza di un rapporto di lavoro subordinato, comunque sussistendo un collegamento tra la prestazione da costui effettuata e la sua organizzazione aziendale.

La responsabilità contrattuale della struttura sanitaria è distinta e distante da quella dell’esercente la professione sanitaria, che può sussistere anche a prescindere dalla prima.

Ben potrà essere riconosciuta, pertanto, una responsabilità autonoma e diretta, per fatto proprio, della casa di cura, ove il danno subito dal paziente risulti causalmente riconducibile ad un’inadempienza alle obbligazioni ad essa facenti carico (c.d. danno da disorganizzazione), a nulla rilevando l’assenza di una qualche responsabilità del medico curante.

Ciò deve considerarsi valido sia per la struttura ospedaliera pubblica che per la casa di cura privata, nel cui rischio d’impresa vanno ricompresi anche quelli relativi alle disfunzioni organizzative e gestionali della prestazione sanitaria.

Responsabilità civile dell’operatore sanitario

Dopo la legge n. 24/2017, c.d. Gelli Bianco, l’operatore sanitario risponde solamente a titolo di responsabilità extracontrattuale: l’art. 7, comma 3, infatti, è chiaro nell’affermare che “l’esercente la professione sanitaria di cui ai commi 1 e 2 risponde del proprio operato ai sensi dell’articolo 2043 del codice civile, salvo che abbia agito nell’adempimento di obbligazione contrattuale assunta con vincolo contrattuale.

Quanto detto vale, tanto per i medici c.d. strutturati, anche se non dipendenti e anche se di fiducia del paziente, come si ricava dal richiamo al primo comma dell’art. 7, quanto per quelli che operano in regime di convenzione, oltre che i medici che esercitano attività libero professionale intramuraria.

La differenza tra le due diverse tipologie di responsabilità non è di poco conto.
Infatti, colui che agisce per ottenere un risarcimento del danno, invocando la responsabilità contrattuale della struttura ospedaliera avrà, soltanto, l’onere di provare in giudizio l’esistenza del rapporto contrattuale, il danno subito e il nesso causale sussistente tra quest’ultimo e una condotta di natura commissiva o omissiva astrattamente riconducibile alla struttura sanitaria. In questo caso, graverà, in capo alla struttura sanitaria, l’onere di provare di aver esattamente adempiuto la prestazione su di essa incombente, nell’accezione omnicomprensiva sopra descritta.

La responsabilità extracontrattuale, invece, presuppone che venga provato il fatto, il danno riportato e la colpevolezza del soggetto agente, sia essa di natura omissiva o commissiva.
In quest’ultima ipotesi, dunque, l’onere della prova è molto più stringente, dovendo l’attore farsi carico di dimostrare quale sia stata l’azione causativa del danno, la colpevolezza della condotta e la riconducibilità a essa dei danni lamentati.

La Legge Gelli Bianco ha disciplinato il c.d. “doppio binario” di responsabilità : contrattuale a carico delle strutture sanitarie (pubbliche e private) e dei liberi professionisti che agiscono in forza di un contratto stipulato direttamente con il paziente, ed extracontrattuale per l’esercente la professione sanitaria che svolge la propria attività nell’ambito di una struttura sanitaria (pubblica o privata o in rapporto convenzionale con il Servizio sanitario nazionale) con evidenti conseguenze sui termini di prescrizione e sull’onere della prova.

E’fuor dubbio, che tale scelta Legislativa, abbia creato uno scudo normativo per gli operatori sanitari, inducendo la parte danneggiata a rivolgersi, viste le maggior possibilità di successo, verso la struttura piuttosto che verso l’operatore sanitario.

Le intenzioni di “protezione” di favor nei confronti dell’operatore sanitario sono rinvenibili anche nella nuova disciplina della rivalsa, che, per opera sempre della Legge Gelli Bianco, prevede la possibilità per la struttura sanitaria condannata al risarcimento del danno, di rifarsi nei confronti dell’operatore sanitario, soltanto nel caso in cui sia ravvisabile nei suoi confronti il dolo o la colpa grave.

Ciò significa che il paziente, che lamenti di aver subito un danno, sarà libero di scegliere se agire contro la struttura o l’operatore sanitario o entrambi, consapevole, però, che per avere ragione nei confronti dell’esercente la professione sanitaria avrà l’obbligo di assolvere un onere probatorio molto più afflittivo, dovendo dedurre e dimostrare in concreto quale sia stata la condotta causativa del danno e perchè quest’ultima sarà suscettibile di rimprovero, quanto meno in termini di colpa.

Di poi, qualora la struttura sanitaria venga condannata a risarcire il paziente, perché viene riconosciuta contrattualmente responsabile, la stessa potrà rivalersi di quanto pagato nei confronti dell’operatore sanitario, che ha posto materialmente in essere la condotta causativa del danno, soltanto, nel caso in cui sia rinvenibile in tale condotta il dolo o la colpa grave dell’esercente professionale.

I due giudizi sono, pertanto, completamente differenti tra loro, di guisa che vi è ragione di sostenere che la condanna della struttura sanitaria al risarcimento del danno, lungi dal rappresentare un fatto generatore automatico di responsabilità diretta anche dell’operatore sanitario, posto che quest’ultimo sarà chiamato a rifondere la struttura, solo qualora abbia agito con colpa grave, mentre quest’ultima potrà essere chiamata a rispondere anche per non essere stata in grado di dimostrare di aver fatto ogni cosa dovuta per evitare l’evento.

Responsabilità penale dell’operatore sanitario

Giova la pena evidenziare che la responsabilità penale dell’operatore sanitario è soltanto eventuale e opera su un campo diverso rispetto a quello della responsabilità civile.
Non vi è alcun automatismo tra le due tipologie di responsabilità, nè alcuna coincidenza.
Infatti, sovente accade che il soggetto, che lamenti di essere stato danneggiato da malpractice, ponga in essere azioni giudiziarie tese al risarcimento del danno, soltanto, in sede civilistica.
Ciò vale sicuramente per tutte le lesioni di natura colposa, posto che tale tipologia di reato è perseguibile solo in presenza di un espressa querela della persona offesa, che richieda l’esercizio dell’azione penale nei confronti del soggetto ritenuto responsabile.

Diverso il caso di omicidio colposo, per il quale è prevista, invece, la procedibilità d’ufficio.
Valga la pena sottolineare che i due procedimenti, di natura civile e penale, sottostanno a regole di giudizio differenti. Nel procedimento di natura civile potrà giungersi a una declaratoria di colpevolezza dell’operatore, quando tale ipotesi risulti quella più probabile, mentre, nel processo la sanzione penale potrà essere comminata, soltanto, quando la colpevolezza appaia tale oltre ogni ragionevole dubbio.

In campo penale il giudizio sulla colpevolezza, in caso di procedimento per lesioni colpose o omicidio colposo, dell’operatore sanitario è sottoposto a regole peculiari, che lo distinguono da qualsiasi altro processo che preveda medesime ipotesi accusatorie, in quanto il Legislatore ha previsto, anche in questo settore, una sorta di scudo normativo che contempla, in alcuni casi di minor gravità, l’abolitio criminis di alcuni fattispecie che, altrimenti, sarebbero penalmente rilevanti.

Un primo intervento in tal senso è stato fatto con la Legge Balduzzi (L.N°189/2012) prevedendo espressamente la distinzione tra colpa grave e colpa lieve. La legge Balduzzi, intervenendo sulla disciplina della responsabilità in ambito medico, infatti, ha operato una abolitio criminis parziale, prevedendo l’irrilevanza penale delle condotte caratterizzate da colpa lieve, quando l’esercente la professione sanitaria abbia osservato le linee guida e le buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica nello svolgimento della propria attività.

Tale previsione normativa è stata superata e abrogata dalla successiva Legge Gelli-Bianco, la quale ha introdotto una nuova fattispecie penale in ambito sanitario, con l’introduzione dell’art. 590 sexies c.p., che non prevede più alcuna distinzione tra colpa lieve e colpa grave, ma ancora il discrimine tra la condotta penalmente rilevante e quella non configurante reato, sulla circostanza che l’evento sia determinato da imperizia. Art.590 sexies c.p. “Se i fatti di cui agli articoli 589 e 590 sono commessi nell’esercizio della professione sanitaria, si applicano le pene ivi previste salvo quanto disposto dal secondo comma. Qualora l’evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto. 2. All’articolo 3 del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189, il comma 1 è abrogato ».

Come si evince dalla lettura della normativa codicistica, in ambito sanitario, non è preclusa la punibilità per ogni evento lesivo colposo generato da imperizia, ma soltanto quando la condotta imperita risulti, comunque, rispettosa delle raccomandazioni previste dalle linee guida, ovvero in mancanza di esse delle buone pratiche clinico assistenziali, sempre che quest’ultime risultino adeguate alla specificità del caso.

Tralasciando ogni tematica di diritto intertemporale, per i fatti commessi nell’arco intertemporale tra l’entrata in vigore della Legge Balduzzi e la Legge Gelli Bianco, possiamo dire che quest’ultima ha eliso qualsiasi aprioristica distinzione tra colpa lieve e colpa grave, individuando quale unico distinguo rispetto alla normativa tradizionale per tali ipotesi di reato (lesioni colpose e omicidio colposo) la circostanza che la condotta possa ritenersi colpevole a titolo di imperizia.
Non ogni tipo di condotta imperita è immune dal rimprovero penale, ma soltanto quando siano state rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida e, in mancanza di queste, dalle buone pratiche clinico assistenziali.

Riassumono, dunque, una rilevanza penale le condotte connotate da negligenza e impudenza lieve, che erano state espunte dalla Legge Balduzzi dal campo penalmente rilevante.
Schematizzando e riassumendo, assumono rilevanza penale, in ambito di responsabilità sanitaria, tutte le condotte che determinano un evento dannoso quanto quest’ultimo, di apprezzabile consistenza:

si è verificato per colpa (anche lieve) da negligenza o imprudenza;
si è verificato per colpa (anche lieve) da imperizia quando il caso concreto non è regolato dalle raccomandazioni delle linee-guida o dalle buone pratiche clinico-assistenziali;
si è verificato per colpa (anche lieve) da imperizia nella individuazione e nella scelta di linee-guida o di buone pratiche clinico-assistenziali non adeguate alla specificità del caso concreto;
si è verificato per colpa grave da imperizia nell’esecuzione di raccomandazioni di linee-guida o buone pratiche clinico-assistenziali adeguate, tenendo conto del grado di rischio da gestire e delle speciali difficoltà dell’atto medico.