Gestione separata INPS e liberi professionisti iscritti ad albi: si dubita sulla legittimità costituzionale della loro iscrivibilità al detto fondo

22 Settembre 2022

Gestione separata INPS e liberi professionisti iscritti ad albi: si dubita sulla legittimità costituzionale della loro iscrivibilità al detto fondo

Con ordinanza depositata in data 08.02.2022 (in G.U. 02.03.2022) il Tribunale di Rieti, chiamato nuovamente a decidere sulla annosa questione della illegittimità, o meno, della iscrizione d’ufficio alla GS Inps di libero professionista iscritto ad Albo; decidendo su eccezione sollevata dal ricorrente, ha ritenuto “rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art.2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n.335 e dell’art.18, comma 12, del decreto legge 6 luglio 2011, n.98, convertito con modificazioni dalla legge 15 luglio 2011, n.111, per come interpretato dalla consolidata giurisprudenza di legittimità (c.d. diritto vivente), per violazione dell’art.3, anche in relazione all’art.118, comma 4, della Costituzione, nonché dell’art.23, anche in relazione all’art.41 della Costituzione, oltre alla violazione dell’art.117 della Costituzione in relazione all’art.1 del Protocollo n.1 addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali”.

La questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Rieti è di fondamentale importanza e diffusività, in quanto attiene alla materia degli obblighi contributivi dei liberi professionisti e, dunque, di figure lavorative aventi un ruolo socio-economico di primo piano nella nostra società.

Il giudizio a quo trae origine da una vicenda che può definirsi “tipica”, nella fattispecie, cioè libero-professionista iscritto ad Albo (nel caso di specie, Architetto iscritto all’Albo provinciale di residenza) la cui categoria professionale era già munita (inizialmente con legge, L.179/1958) di Cassa Pubblica e poi (dal 1994 con la privatizzazione) di Cassa Privata competente, in via esclusiva, sulla previdenza dei liberi professionisti iscritti al rispettivo Albo (v. art.3 D. Lgs. 103/1996).

I detti professionisti però, sebbene esonerati totalmente o parzialmente dall’obbligo contributivo, in base a scelte ordinistiche autonome della Cassa Privata, per tali ipotesi si trovano a subire interventi di INPS sulla propria posizione contributiva, il quale Ente Pubblico, interferendo nelle rispettive autonomie degli Enti Privati, iscrive d’ufficio i detti professionisti alla G.S., chiede loro il pagamento coattivo di contribuzione soggettiva con aliquote notevolmente superiori rispetto a quelle applicate dalla Cassa Privata di appartenenza, e con sanzioni da evasione contributiva (pari al 60% della sorte, cui si aggiungono interessi).

Ciò ha posto il problema del contrasto della condotta accertativa e recuperatoria di Inps, sia col sistema normativo vigente in materia per i professionisti iscritti ad Albi, sia col relativo quadro giurisprudenziale, di merito, di legittimità e costituzionale, consolidotasi negli anni sulla questione.

Quadro che però, dal dicembre 2017, ha visto formarsi, in Cassazione, un diverso orientamento il quale, costituendo il diverso “diritto vivente”, rappresentato dal reiterato orientamento della Suprema Corte di Cassazione di cui si dirà meglio infra, (funzione nomofilattica dei giudici di legittimità -art.65 del R.D. n. 12 del 1941), ha reso necessario chiedere alla Corte costituzionale di vagliare la compatibilità del predetto “diritto vivente” con principi e norme costituzionali coinvolte.

Il quadro normativo di riferimento

  • (A) La Gestione Separata Inps è un fondo pensionistico residuale istituito nel 1995 (all’art.2 comma 26 L.335/1995), con la finalità di assicurare il trattamento IVS (invalidità, vecchiaia e superstiti) a coloro che ne fossero privi (art.38 Cost.) quale diritto alla previdenza obbligatoria garantita dallo Stato a fronte del corrispondente obbligo del cittadino di contribuire (v. Corte Cost. sent.167/1986, 173/1986 e 202/2006, in linea con la posizione della Suprema Corte sent.4146/1990);
  • (B) la tipologia di attività lavorativa in concreto svolta rappresenta l’elemento su cui individuare l’Ente previdenzialmente competente e il regime previdenziale applicabile in ciascun caso specifico (c.d. principio di esclusività, art.2 comma 25 e 26 L.335/95; art.18 comma 12 DL 98/2011), nel rispetto del principio di autonomia degli Enti previdenziali (artt.1 e 2 L.509/1994; art.2 comma 25 L. 335/95; art.3 D. Lgs. 103/1996);
  • (C) ai sensi dell’art.2 comma 25 L.335/95, ogni volta che un professionista svolga attività lavorativa di ingegnere/architetto/commercialista/avvocato (attività per la quale è richiesta l’iscrizione ad Albo), la competenza a dettare la disciplina previdenziale è dell’Ente previdenziale di diritto Privato cui l’Ente esponenziale nazionale dell’Albo di iscrizione ha scelto di affidare la disciplina e la gestione della previdenza dei propri iscritti (art.2 comma 25 L.335/95 e art.3 del D. Lgs. 103/1996 nonché art. 18 comma 12 del DL98/2011).

In corretta e letterale applicazione del quadro normativo così ricostruito, fino al dicembre 2017, la giurisprudenza di merito di I e II grado si è univocamente pronunciata nel senso di dare ragione a quei professionisti che svolgevano attività per l’esercizio della quale era richiesta l’iscrizione a un Albo e che assolvevano i propri obblighi contributivi solo “facendo i conti” con la Cassa Privata competente per Albo di iscrizione, in armonia anche con l’orientamento consolidato della Suprema Corte, e conservato per oltre 22 anni (Cass. 13218/2008).

Su detto quadro giuridico e normativo vigente, univoco e coerente, si è inserita la Cassazione con le sentenze nn.30344 e 30345 del 2017, e successive di segno identico, la quale è giunta alla elaborazione sostitutiva di principi non supportati dal sistema normativo e costituzionale vigente.

Nel dettaglio, come evidenziato dal Tribunale reatino, la Suprema Corte di Cassazione, a partire da Cass. 18 dicembre 2017, n. 30344 e n. 30345, si presenta ormai costante nell’interpretare la normativa di settore nel senso che “l’iscrizione alla gestione separata è obbligatoria per i soggetti che esercitano per professione abituale, ancorché non esclusiva, attività di lavoro autonomo di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art.49 (ora 53), comma 1, l’esercizio della quale non sia subordinato all’iscrizione ad appositi albi professionali ovvero, se subordinato all’iscrizione ad un albo, non sia soggetto a un versamento contributivo agli enti previdenziali di riferimento che sia suscettibile di costituire in capo al lavoratore autonomo una correlata posizione previdenziale” (pag.9-10 ord.14/2022).

Stando a quanto si legge nella citata giurisprudenza, “il percorso argomentativo della Suprema Corte (successivamente ampliato e approfondito da Cass. 12 dicembre 2018, n. 32166) prende[rebbe] le mosse dai principi di diritto” che avrebbero “affermat[o] le Sezioni Unite in tema di gestione separata (Cass. sez. un. 12 febbraio 2010, n. 3240) secondo cui..:

  • a) “con la creazione della nuova gestione separata si [sarebbe] inteso estendere la copertura assicurativa, nell’ambito della c.d. “politica di universalizzazione delle tutele”, non solo a coloro che ne erano completamente privi, ma anche a coloro che ne fruivano solo in parte, a coloro cioè che svolgevano due diversi tipi di attività e che erano “coperti” dal punto di vista previdenziale, solo per una delle due”, con la finalità di “fa[re] in modo che a ciascuna corrispondesse una forma di assicurazione” (pag.10 ord.14/2022);
  • b) la regola generale sarebbe quindi quella per cui “all’espletamento di duplice attività lavorativa, quando per entrambe si prevede la tutela assicurativa, deve corrispondere la duplicità di iscrizione” e in tal modo “non si avrebbe … duplicazione di contribuzione, perché a ciascuna fa[rebbe] capo una attività diversa” (pag.10 ord.14/2022).

Sin da subito la Cassazione 2017 e 2018 e successive gemelle non ha convinto una parte rilevante della magistratura di merito la quale, expressis verbis, se ne è – coraggiosamente – discostata, continuando motivatamente ad affermare l’inesistenza di alcun obbligo di iscrizione alla GS Inps per i professionisti che siano iscritti ad Albo e che siano al contempo titolari di altra posizione previdenziale obbligatoria.

In un tale quadro giudiziario e sociale, della soluzione della questione è stato interessato anche il Governo il quale, già dal 2018, prendeva posizione sulla vicenda in favore dei Professionisti:

(i) sia mediante interrogazioni parlamentari;
(ii) sia mediante Messaggi Ministeriali;
(iii) sia, dal 2019 e tuttora, mediante iniziative parlamentari più specifiche (PDL n.1823 Camera Dei Deputati).

Tuttavia, l’orientamento contrario della suprema Corte di Cassazione, quale formatosi dal dicembre 2017, costituendo il diverso “diritto vivente”, ha portato a richiedere alla Corte Costituzionale, di affrontare il problema della sua compatibilità con principi e norme costituzionali coinvolte.

Il Giudice a quo rileva che è “obbligo dello Stato di dare concretezza al principio della universalità delle tutele, tuttavia, …. l’attuazione del suddetto principio …. implica comunque l’adozione di una serie di scelte di politica legislativa che restano affidate alla discrezionalità del legislatore, come confermato dalla posizione del Legislatore, in tema di disciplina dei liberi professionisti già pensionati, per i quali ha agito con norma innovativa e non retroattiva, optando per la loro iscrizione alla cassa privata di appartenenza, con una precisa decorrenza degli effetti e con la determinazione delle aliquote.

Da ciò discende che “l’opzione interpretativa adottata dal diritto vivente” (obbligo di iscrizione alla GS Inps), con riferimento ai liberi professionisti iscritti ad Albi e con Cassa, non solo “non corrisponde a una soluzione costituzionalmente obbligata (c.d. “a rime obbligate”)” (pag.12 ord.14/2022), ma addirittura, “tra le varie opzioni possibili, è anche quella che si pone in contrasto con essa sotto diversi profili” (pag.13 ord.14/2022).

I) Sulla violazione dell’art.3 Cost

Per il Tribunale di Rieti il diritto vivente inaugurato dalla Cassazione in esame, innanzitutto, viola l’art.3 Cost., nella misura in cui esso ritiene che l’attività svolta dal libero Professionista iscritto ad albo, per il solo fatto che sia già titolare di contestuale altra posizione previdenziale obbligatoria (IVS), debba scontare un obbligo contributivo del tutto sperequato rispetto a quello che sconterebbe invece la medesima attività, ove svolta da chi non sia contestualmente dipendente o pensionato.

La violazione costituzionale sarebbe, dunque, integrata dal fatto che, tra i professionisti iscritti al medesimo Albo, vi sarebbe una differenziazione di trattamento previdenziale, pur in presenza di medesima situazione oggettiva e soggettiva, ma senza che tale differenza trovi adeguata motivazione.
Allo svolgimento della medesima attività, non corrisponde il medesimo trattamento previdenziale, per cui la diversificazione sarebbe del tutto ingiustificata, a parità di situazioni involte.

Il Tribunale di Rieti ha ritenuto che l’opzione interpretativa della Cassazione dia luogo a violazione dell’art.3 Cost. per contrasto con il principio di ragionevolezza e il canone di proporzionalità, anche in relazione al principio di sussidiarietà orizzontale di cui all’art.118, comma 4 Cost., prendendo, come tertium comparationis, sia la disciplina dettata dalla stessa legge 335/1995 smi, e dal DL 98/2011 per la analoga fattispecie dei liberi professionisti già pensionati, sia la disciplina vigente all’interno della cassa di riferimento (Inarcassa) per la analoga posizione dei liberi professionisti c.d. “puri”, ossia non dotati di altra posizione previdenziale.

Sotto il profilo della ragionevolezza

Ritiene, nel dettaglio, il Tribunale che “l’imposizione di un obbligo di contribuzione alla gestione separata da parte dei liberi professionisti già iscritti in altre forme di previdenza obbligatoria non trova alcuna razionale giustificazione, se non quella di “fare cassa” (pag.13 ord.14/2022).

Invero, da un lato l’impianto sistematico risultante dal processo di privatizzazione degli enti previdenziali di categoria (legge 537/1993 e D. Lgs. 509/1994) e, dall’altro, la scelta statale di universalizzare le tutele estendendo la copertura assicurativa anche ai lavoratori autonomi (L.335/1995 e D. Lgs. 103/1996), si presentano “connotato da una sua intrinseca razionalità, la cui deroga da parte delle disposizioni censurate non risulta essere giustificata” (pag.13 ord.14/2022).

Il Tribunale di Rieti, ha concluso che “la soluzione più coerente e ragionevole in relazione alla questione della copertura assicurativa dei professionisti già iscritti in altre forme di previdenza obbligatoria e che in quanto tali non possono iscriversi alle rispettive Casse di categoria (come nella specie), sarebbe stata certamente quella di prevedere un obbligo per le relative Casse previdenziali di assoggettare al versamento di un contributo soggettivo anche le attività professionali di tali soggetti” (pag.14-15 ord.14/2022).

Opzione che, del resto, è “già stata adottata dal legislatore con riguardo alla analoga vicenda relativa ai soggetti già pensionati” per i quali infatti, ne ha previsto l’assoggettamento a un contributo soggettivo in misura ridotta, fissando un preciso termine agli Enti di categoria per adeguarsi (art. 18 co. 11 D.L. 98/2011). Quel che conta, dunque, è che, in entrambi i casi ci si trovi di fronte a un “libero professionista iscritto nel relativo albo che svolge la propria attività professionale percependo dei redditi, il quale, però, è esonerato dall’iscrizione e dal versamento contributivo alla propria Cassa previdenziale in base ad una precisa scelta statutaria e ordinistica dell’ente stesso” (pag.17 ord.14/2022), con conseguente irragionevolezza della diversa soluzione prospettata dal diritto vivente, posto che per i professionisti pensionati “l’estensione della copertura assicurativa si è realizzata non già attraverso l’iscrizione nella gestione separata INPS, bensì attraverso la corrispondente iscrizione nelle proprie Casse previdenziali di categoria, come previsto dall’art. 18, comma 11, d.l. n. 93 del 2011” (pag.18 ord.22/2014).

A ulteriore conferma sta anche il comma 25 dell’art.2 L.335/1995, con il Legislatore ha affidato agli Enti esponenziali a livello nazionale di categoria, addirittura la scelta di creare ex novo di un Ente previdenziale monocategoriale, ovvero di creare ex novo un Ente previdenziale pluricategoriale, ovvero ancora di deliberare l’ingresso in Enti già esistenti per altre categorie, cui affidare la gestione anche della subentrante compagine professionale, demandando quindi a detti Enti esponenziali scelte autonome e determinate per la previdenza della categoria.

E’ dunque irragionevole il diritto vivente che rilegga il sistema normativo nel senso della obbligatorietà di iscrizione alla GS Inps dei liberi professionisti iscritti ad Albo, cozzando, tale lettura, coi principi fondamentali del sistema delineato dalla L. 335/95, anche per la ingiustificata limitazione dell’autonomia ordinistica che ne subiscono le casse private.
Per cui l’eventuale deroga ai su ricostruiti principi non trova alcuna adeguata giustificazione, se non in esigenze statali puramente ed esclusivamente finanziarie.

Sotto il profilo della proporzionalità

Per il Tribunale di Rieti, il Diritto vivente in esame viola il precetto di cui all’art.3 Cost. anche con riferimento al canone della proporzionalità, e sotto vari profili, quali:

– la sproporzionata estensione temporale riconosciuta all’obbligo contributivo alla GS Inps (dal 1 gennaio 1996), laddove invece per i liberi professionisti già pensionati e perdurantemente in esercizio, la norma innovativa aveva fissato al 7 gennaio 2012 il dies a quo di decorrenza dell’obbligo di versamento alle rispettive casse private, e non alla GS Inps;

– la maggiore incisività dell’aliquota contributiva imposta dalla GS Inps (18% per l’anno 2012 di interesse nel giudizio a quo) rispetto a quella corrisposta alla Cassa privata di appartenenza (13,50%), dagli analoghi professionisti iscritti ad Albi, ove non anche dipendenti;

l’impossibilità di computare, nel proprio montante contributivo, gli importi versati a titolo di contributo integrativo; facoltà invece espressamente prevista per la previdenza dei liberi professionisti ingegneri/architetti iscritti (art.8 comma 3 del D. Lgs.103/1996 e art.26 comma 5 Regolam. Inarcassa).

I.2) Sulla violazione dell’art.3 Cost. anche in relazione all’art.118 comma 4 Cost. (c.d. principio di sussidiarietà orizzontale)

Sotto il profilo della ragionevolezza

Il Tribunale di Rieti ritiene che il processo di privatizzazione degli enti previdenziali, svolgenti attività di interesse generale, iniziato con gli interventi legislativi del 1994, 1995 e 1996, ha assunto poi una diretta copertura costituzionale nel novellato art.118, comma 4 Cost. allorché (con la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n.3), si è previsto l’impegno per lo Stato, oltre che per gli altri Enti locali, di favorire “lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà” orizzontale, affidandola alla “autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati” (Corte Cost. sent.79/2019), nel generale ambito di applicazione dell’art.2 Cost.

L’attività di interesse generale affidata alle Casse private dopo il processo di privatizzazione, rappresenta una delle forme più tipiche in cui si esprime e trova attuazione il principio di sussidiarietà orizzontale di cui all’art.118, comma 4 Cost., il quale “non integra un criterio di riparto di competenze tra il pubblico e il privato, bensì costituisce una nuova modalità di esercizio del potere pubblico, legislativo e amministrativo, rispetto all’autonomia privata” (pag.24 ord.14/2022), del tutto compatibile, dunque, con l’altra – pure rilevante – previsione costituzionale (art.117, comma 2, lett. o) Cost.), che attribuisce allo Stato potestà legislativa esclusiva in materia di “previdenza sociale”.

Segno applicativo evidente del principio di sussidiarietà orizzontale, è la disciplina categoriale dettata dal legislatore delegato (art. 2 co. 25 L.335/95 – art.3 del D. Lgs. 103/1996) il quale, nel riconoscere agli Enti Esponenziali degli Albi, l’autonomia di scelta alternativa del Fondo previdenziale cui affidare la previdenza dei propri iscritti, ha altresì previsto che “Nel caso di mancata adozione delle delibere di cui al comma 1, i soggetti appartenenti alle categorie professionali interessate sono inseriti nella gestione di cui al comma 1, lettera d)”, ossia nella gestione separata INPS, rafforzando, così la preminenza dell’azione privata, solo al mancato esercizio della quale sopperisce la scelta del legislatore.

E medesima impostazione (id est favorire l’autonoma iniziativa degli enti privatizzati) è stata seguita dal legislatore nell’adeguamento contributivo dei liberi professionisti già pensionati, ove infatti, dopo aver concesso agli Enti privatizzati un termine semestrale per adeguare i propri statuti e regolamenti (art. 18, comma 11, d.l. 6 luglio 2011, n. 98), solo in via sussidiaria e in caso di inerzia, ha previsto la loro iscrizione obbligatoria al Fondo Gestione Separata.

Ribadito dunque il necessario rispetto, in materia, del principio di sussidiarietà orizzontale, per il Tribunale di Rieti è costituzionalmente illegittima un’applicazione normativa che, pur dovendo e comunque potendo certamente favorire l’autonoma iniziativa degli enti associativi, ometta di farlo senza una adeguata giustificazione razionale.

Sotto il profilo della proporzionalità

Ritiene, infine, il Tribunale di Rieti che la violazione dell’art.3 in combinato disposto con l’art.118, comma 4 Cost. venga in rilievo anche sotto il profilo dell’equo contemperamento di contrapposte esigenze, in quanto il “diritto vivente” solleva dubbi di legittimità costituzionale laddove, nel ritenere la competenza esclusiva della GS Inps per i liberi professionisti iscritti ad Albi, a discapito della cassa di appartenenza, nello statuire tale prevalenza non ne dà adeguata e ponderata ragione.
In altre parole, nel bilanciamento tra l’esigenza di estendere la copertura assicurativa IVS (art.35 e 38 Cost.) e la contrapposta esigenza di favorire l’autonomia delle casse previdenziali private (art.118, comma 4, Cost.), la soluzione propugnata dalla Cassazione pone l’accento esclusivamente e meccanicamente sul primo aspetto, trascurando il secondo e privandolo della dovuta valenza ispirativa.
In effetti, secondo l’insegnamento della Corte Costituzionale, poi ripreso anche dalla Corte di Cassazione, “tutti i diritti costituzionalmente protetti si trovano in rapporto di integrazione reciproca e sono soggetti al bilanciamento necessario ad assicurare una tutela unitaria e non frammentata degli interessi costituzionali in gioco (Corte cost. n. 85 del 2013, n. 10 del 2015, n. 63 del 2016, ma anche, tra le altre, Cass. 30 settembre 2016, n. 19599)” (pag.26 ord.14/2022).

Chiariti questi principi, il Tribunale di Rieti ha ritenuto mancare “ragionevolezza” nella soluzione ermeneutica fatta propria dalla Cassazione in quanto essa “non tiene conto di un equo bilanciamento tra l’esigenza di estendere la copertura assicurativa (art.35 e 38 Cost.) e la contrapposta esigenza di favorire l’autonomia delle casse previdenziali private (art. 118, comma 4, Cost.)” (pag.26 ord.14/2022).

II) Sulla violazione dell’art.23 Cost. anche in relazione all’art.41 Cost.


L’opzione interpretativa fatta propria dalla Cassazione (e cioè ritenere obbligati a iscriversi alla gestione separata i liberi professionisti già iscritti in altre forme di previdenza obbligatoria) dà luogo, altresì, a violazione dell’art.23 Cost.

Se infatti, da un lato, è indubbio che i contributi previdenziali pretesi da Inps GS hanno natura di prestazioni patrimoniali obbligatoriamente imposte e, come tali, soggette alla garanzia dettata dall’art.23 Cost. (Corte cost. n. 190 del 2007); dall’altro l’obbligo contributivo che la Cassazione afferma debba essere applicato, non presenta adeguata base legislativa per potersi ritenere che la prestazione patrimoniale imposta sia normativamente dovuta.

Pur se quella configurata dall’art.23 Cost. è una riserva di legge di carattere “relativo” – che dunque si ritiene rispettata “purché la concreta entità della prestazione imposta sia chiaramente desumibile dagli interventi legislativi che riguardano l’attività dell’amministrazione” (Corte cost. n.190 del 2007) -, l’obbligo contributivo imposto dal “diritto vivente” in esame, tenuto conto dell’impianto normativo in cui si inserisce, non risponde ai requisiti indicati dalla richiamata giurisprudenza costituzionale, in quanto “l’identificazione dei soggetti tenuti alla prestazione contributiva non [pare] supportata da una sufficiente base legislativa” (pag.27 ord.14/2022).

Se dunque, col comma 11 dell’art. 18 DL 98/2011, il legislatore ha operato, con norma innovativa, l’opzione legislativa volta a far iscrivere i liberi professionisti già pensionati presso le casse private di categoria, medesima ratio deve ritenersi aver ispirato il successivo comma 12 il quale, nel fornire l’interpretazione autentica dell’art.2 comma 26 L.335/95, ha chiarito, in via riduttiva, l’ambito soggettivo di applicazione obbligatoria del Fondo GS Inps: e cioè che sono tenuti all’iscrizione alla GS Inps “solamente quei soggetti che svolgono attività non assoggettate al versamento contributivo agli enti di diritto privato … sulla base delle rispettive scelte ordinistiche …., con esclusione in ogni caso dei soggetti già pensionati (soggetti di cui al comma 11), essendo stata prevista, per questi ultimi, l’iscrizione obbligatoria alle proprie Casse previdenziale con versamento di un contributo soggettivo ridotto, da parte del precedente comma 11 del medesimo art.18 cit.” (pag.30 ord.14/2022).

E ciò in aderenza ai principi generali di interpretazione della legge forniti all’art.12 delle preleggi, a mente del quale al criterio letterale – prioritario nell’opera ermeneutica ed esegetica – deve affiancarsi, in via sussidiaria, l’individuazione delle intenzioni del legislatore in caso di dubbio o perdurante oscurità del testo normativo.

Con l’ordinanza in esame, dunque, il Tribunale remittente ritiene che l’obbligo contributivo imposto dal diritto vivente della Cassazione non ha alcuna copertura legislativa, né diretta né indiretta, essendo invece, l’intero impianto normativo vigente, impostato nel senso della esclusione di detto obbligo in capo ai professionisti ordinistici.
L’interpretazione giurisprudenziale inaugurata dalla Cassazione dal dicembre 2017 è dunque sopraggiunta in modo del tutto imprevedibile per l’Architetto o l’Ingegnere o l’Avvocato o il Commercialista che vi è incappato.
In altre parole, i numerosissimi professionisti che, come il ricorrente del giudizio a quo, si sono visti iscrivere d’ufficio alla GS INPS, hanno percepito un inaspettato senso di ingiustizia, trattandosi di obbligo contributivo improvvisamente imposto non da una precisa e preesistente norma di legge, bensì da una interpretazione giurisprudenziale sopravvenuta solo nel 2017, che ha determinato un mutamento inaspettato della disciplina, ledendo la libertà del singolo nella scelta consapevole di svolgere attività professionale contestualmente ad altra attività.

Libertà il cui esercizio è costituzionalmente protetto e garantito anche tramite il principio di legalità di cui quello di tipicità ex art.23 Cost. costituisce specifica applicazione.
Per il giudice remittente dunque “la libertà dei soggetti in questione che viene ad essere incisa dalla norma censurata è costituita dalla libertà di iniziativa economica tutelata dall’art.41 della Costituzione”, che si estrinseca nella possibilità di scelta e di autodeterminazione, spettante a qualsiasi operatore economico, circa l’attività da svolgere, le modalità di reperimento dei capitali, le sue forme di organizzazione, i sistemi di gestione, le tipologie di corrispettivo e, dunque, anche gli oneri che essa comporta o può comportare (Corte Cost. n. 218 del 2021).
Scelta che, dunque, il Professionista ricorrente ha fatto nel 2012, sulla base di un quadro normativo e giurisprudenziale che appariva chiaro, sin dal 1995, nell’escludere i liberi professionisti dal Fondo GS Inps.
Tuttavia, “la sua piena libertà di scelta è stata pregiudicata” dal successivo revirement operato dalla Cassazione nel dicembre 2017, che infatti gli ha mutato la disciplina degli oneri contributivi per così dire “in corsa”: ove, infatti, il Professionista “avesse saputo, con sufficiente certezza, dell’esistenza di un simile obbligo contributivo e della sua decorrenza, egli avrebbe potuto eventualmente scegliere di non intraprendere tale attività economica o di intraprenderla con modalità e tempistiche differenti, essendo evidentemente diversa la convenienza economica dell’attività professionale, a seconda della diversa incidenza degli oneri fiscali e contributivi a cui il reddito prodotto deve essere assoggettato” (pag.32 ord.14/2022).

Pretesa che, invece, è stata pregiudicata dal sopraggiunto diritto vivente della Cassazione, che appunto si pone in contrasto col principio di tipicità (art.23 Cost.) anche in relazione all’art.41 Cost..

III) Sulla violazione dell’art.117 della Costituzione, in relazione all’art. 1 del Protocollo n.1 addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Gli aspetti esaminati dal Tribunale di Rieti, ai fini della sospettata violazione dell’art.23 Cost., integrano altresì contrasto con l’art.1 del Protocollo n.1 addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali, quale parametro interposto dell’art.117 della Costituzione.

Ora, poiché è indubbia la riconducibilità dell’obbligo di iscrizione e contribuzione in favore della gestione separata INPS, nell’ambito di applicabilità dell’art.1 del Protocollo n.1 della Convezione, “stante la nozione ampia relativa al concetto di “beni” e di “proprietà”, nonché all’espresso riferimento normativo ivi contenuto alle fattispecie di “pagamento delle imposte o di altri contributi”, è evidente come, nel caso di specie, il detto obbligo costituisca ingerenza carente sia del requisito di legittimità, stante la “mancanza di una sufficiente determinazione, da parte della legge, delle condizioni soggettive di imposizione del contributo” (pag.33 e 34 ord.14/2022), sia del requisito di proporzionalità, per tutte le ragioni già esposte in punto di violazione dell’art.3 Cost..

Le possibili conseguenze in caso di accoglimento della questione di illegittimità costituzionale.

Ove il giudice delle leggi dovesse dichiarare costituzionalmente illegittimo l’art.2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n.335 e dell’art.18, comma 12, del decreto legge 6 luglio 2011, n.98, convertito con modificazioni dalla legge 15 luglio 2011, n.111, per come interpretato dalla consolidata giurisprudenza di legittimità (c.d. diritto vivente), cadrebbe l’applicazione giurisprudenziale della norma quale consolidatasi in Cassazione dal 2017 e dunque i Tribunali tornerebbero a essere liberi di applicare il dato letterale della norma quale esistente sin dal 1995 e confermato dalla norma di interpretazione autentica (art.18 comma 12 DL98/2011).
Certamente, nessun giudice, né di merito né di legittimità, potrebbe più decidere nel senso inaugurato dal revirement del 2017, una volta invalidato dalla Corte Costituzionale.

Al contempo, diverrebbe tuttavia essenziale l’intervento del legislatore, non solo per fare definitiva chiarezza su questioni che hanno lasciato troppo spazio a letture interpretative della norma, ma anche per disciplinare gli innegabili effetti giuridici e finanziari che una tale pronuncia di incostituzionalità verrebbe a determinare non solo nei confronti di Inps ma anche e soprattutto all’interno delle Casse private: il primo perchè vedrebbe interrotto il flusso finanziario attivatosi facendo affidamento sulla rilettura interpretativa caducata; i secondi perché sarebbero posti di fronte alla necessità di adeguare i propri statuti e ordinamenti a principi – esclusività e unicità della contribuzione su medesima attività; obbligo di versamento contributivo previdenziale ogni volta che viene svolta una attività professionale suscettiva di produrre reddito – che ormai improntano il sistema previdenziale privato in modo ineludibile.

Per dirla in breve: con un intervento puntuale e organico del Legislatore, si giungerebbe finalmente al tanto atteso “riordinamento, con criteri unitari, dei trattamenti di previdenza delle categorie dei liberi professionisti” (Corte Cost. sent. 108/1989).